Tommaso Landolfi (Pico, 9 agosto 1908 – Ronciglione, 8 luglio 1979) è stato uno scrittore, poeta, traduttore e glottoteta italiano.
Anche se poco noto al grande pubblico, complice la lingua estremamente ricercata e barocca e la prosa caratterizzata da uno spiccato sperimentalismo linguistico, per certi versi assimilabile alla poetica del Surrealismo,[1] ma anche una sua certa distanza dalle tendenze letterarie italiane, sia prima, sia dopo la seconda guerra mondiale, è considerato uno degli scrittori italiani di maggior rilievo del Novecento.[2]
I suoi racconti, secondo Arnaldo Bocelli; «sono, propriamente, fantasie, composizioni, capricci in senso tra musicale e pittorico, nei quali l'estro, l'umore si accompagnano ad una strenua casistica e i motivi lirici nascono da una riflessione critica del reale, da un gusto formatosi all'incrocio di diverse letterature».[3]
[modifica | modifica wikitesto]
Tommaso Landolfi nacque a Pico, un paesino di campagna situato al secolo nell'allora provincia di Terra di Lavoro (confluito poi, nel 1927, nella neocostituita provincia di Frosinone), il 9 agosto del 1908, figlio di Pasquale Landolfi, un proprietario terriero appartenente ad una famiglia aristocratica, tra le più antiche della zona e per lungo tempo fedele alla dinastia dei Borbone (Landolfi stesso amava definirsi un «rappresentante genuino della gloriosa nobiltà meridionale»),[4] e di Maria Gemma Nigro, detta Ida. Era ateo.[5]
Nel 1932 conseguì la laurea in Lingua e letteratura russa presso l'Università degli Studi di Firenze, discutendo una tesi sulla poetessa Anna Andreevna Achmatova. Nel capoluogo toscano, collabora a diverse riviste letterarie, quali Letteratura e Campo di Marte.
Nel 1937 pubblica la sua prima raccolta di racconti, precedentemente apparsi su riviste, Dialogo dei massimi sistemi. Seguono altre prove narrative, tra il fantastico ed il grottesco, che caratterizzano la produzione del primo Landolfi, tra i quali spicca il breve romanzo gotico Racconto d'autunno, del 1947. Evidente, già dalle prime opere, il tema della vanità dell'agire umano, trattato con apparente e spesso divertita leggerezza, che può però trasformarsi in disperazione e delirio romantico, quando si autocompiace nella propria ironica tristezza.[6]
Salvo brevi soggiorni all'estero, la vita di Landolfi si svolge per lo più tra Roma, le case da gioco di San Remo e di Venezia e la tenuta di famiglia a Pico. Nonostante un'esistenza appartata e lontana dai salotti intellettuali e mondani, il suo lavoro è riconosciuto da rinomati autori e critici quali Giorgio Bassani, Mario Soldati, Eugenio Montale, Carlo Bo ed Italo Calvino, che ne curerà anche un'antologia nel 1982. Calvino, sull'atteggiamento di Landolfi, così ebbe a scrivere:
«Il rapporto di Landolfi con la letteratura come con l'esistenza è sempre duplice: è il gesto di chi impegna tutto se stesso in ciò che fa e nello stesso tempo il gesto di chi butta via.[7]»
Il demone del gioco, assieme ad altri motivi autobiografici, è al centro delle sperimentali opere "metadiaristiche" LA BIERE DU PECHEUR (1953), Rien va (1963) e Des mois (1967). Nel 1975 vince il premio Strega con la raccolta di racconti A caso.
È stato collaboratore fisso, tra il 1939 ed il 1941, del settimanale Oggi di Arrigo Benedetti. Più tarde sono invece le collaborazioni con Il Mondo di Pannunzio ed il Corriere della Sera.
Si ammala di una lunga e dolorosa malattia, complice il clima rigido e umido di Pico, dal quale cerca sollievo nelle località liguri di Sanremo e Rapallo. Nel marzo del 1978 è già al terzo ricovero, presso l'ospedale di Sanremo, per un ennesimo attacco di cuore, al quale segue la ricerca dell'isolamento e della solitudine. Ed è proprio in solitudine, mentre la figlia è assente per qualche ora, che è colpito da un enfisema polmonare: si spegne a Ronciglione, in provincia di Viterbo, l'8 luglio del 1979.[8]
Dal 1992 le maggiori opere, pubblicate in precedenza da Vallecchi ed altri editori, ed ormai fuori catalogo, vengono ripubblicate dalla casa editrice Adelphi a cura di Idolina Landolfi, figlia dell'autore. Nel 1996, sotto la presidenza di Idolina, nasce il Centro Studi Landolfiani, che pubblica il bollettino «Diario perpetuo».
[modifica | modifica wikitesto]
Italo Calvino, nella sua Postfazione all'antologia del 1982, indica una parentela letteraria tra le opere di Landolfi e quelle degli scrittori francesi Jules Amédée Barbey d'Aurevilly e Auguste de Villiers de L'Isle-Adam, mentre Carlo Bo ha più volte dichiarato come Landolfi sia, dopo D'Annunzio, il primo scrittore ad avere il dono di giocare con la lingua italiana e, di conseguenza, avere la capacità di manipolarla a proprio piacimento. La scrittrice Susan Sontag, in una sua retrospettiva critica sul profilo letterario dell'autore, collocava idealmente la sua opera tra quella di Jorge Luis Borges e quella di Karen Blixen[9], mentre altri hanno indicato dei parallelismi con autori quali Edgar Allan Poe e Nikolaj Vasil'evič Gogol'[10].
Centrale è nella sua opera la critica alle "magnifiche sorti e progressive" della moderna società dei consumi ma, rispetto a quella degli scrittori impegnati, essa è condotta da un punto di vista aristocratico e conservatore,[11] riverberandosi altresì nel linguaggio, attraverso uno stile altamente barocco e sperimentale.
Landolfi, infatti, nutre un sincero interesse per le possibilità della lingua, benché non sia uno scrittore d'avanguardia ma piuttosto un conservatore. Per esempio, nel racconto La passeggiata,[12] che alla persona dotata di un vocabolario medio pare un racconto astruso ed incomprensibile, Landolfi fa sfilare una serie di vocaboli arcaici, gergali o comunque desueti, ma tutti presenti nel dizionario. Una glossolalia la sua, come direbbe Giorgio Agamben,[13] da leggere con una continua sorpresa, dizionario alla mano (il suo era uno Zingarelli, ma usava anche il Tommaseo-Bellini).
L'inizio del racconto recita così:
«La mia moglie era agli scappini, il garzone scaprugginava, la fante preparava la bozzima... Sono un murcido, veh, son perfino un po' gordo, ma una tal calma, mal rotta da quello zombare o dai radi cuiussi del giardiniere col terzomo, mi faceva quel giorno l'effetto di un malagma o di un dropace!»
(La passeggiata (1966))
L'esempio in Landolfi non è isolato, infatti questo stesso parlar per glosse lo si può rintracciare, alle volte portato alle sue estreme conseguenze, in tantissimi altri componimenti suoi, come ad esempio nel racconto metaletterario Conferenza personalfilologicodrammatica con implicazioni.[14]
Landolfi è capace di dare leggerezza a fattarelli quotidiani ed illuminarli di nuova luce, anche solo con un vocabolo, come fa chiamando le omelette pesceduovo.[15]
Landolfi ama anche inventare ed affronta problemi di linguistica, come nel caso della celebre poesia in una lingua da lui stesso creata, che inizia così:
Aga magera difura natun gua mesciunSanit guggernis soe wali trussan garigurGunga bandura kuttavol jeris-ni gillara....Questa poesia, quasi una formula magica, si trova all'interno del racconto concettuale e tragicamente ironico Dialogo dei massimi sistemi (1937),[16] che dà il titolo all'omonima raccolta, incentrato sul paradossale dilemma linguistico di un idioma comprensibile solo al parlante, ed al valore intrinseco, se esiste, di una poesia scritta in tale lingua. La poesia viene scelta, nel 1994, per dare il titolo al Dizionario delle lingue immaginarie di Paolo Albani e Berlinghiero Buonarroti.[17]
[modifica | modifica wikitesto]
Il Fondo del Centro Studi Landolfiano è stato donato alla Biblioteca Umanistica di Siena.[18] Contiene il materiale raccolto dalla figlia Idolina, fra cui lavori critici su Landolfi e prime pubblicazioni di sue opere e traduzioni. Contiene inoltre la biblioteca personale di Idolina stessa e un ampio carteggio. Al gennaio 2018, la gran parte dei manoscritti di Landolfi è ancora proprietà privata del figlio e non pubblicamente consultabile.[19]
Il materiale archivistico e librario di Tommaso Landolfi[20], raccolto dal Centro studi, è pervenuto in forma di donazione alla Biblioteca della Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Siena nel 2010, per volontà della figlia Idolina. È costituito da: Corrispondenza; Raccolte di materiale bibliografico, di giornali, riviste: due scatole conservano raccolte di riviste, prevalentemente letterarie; Il resto del materiale conservato è composto da ritagli o fotocopie di articoli di giornale relativi allo stesso Landolfi; carte sciolte; sei taccuini manoscritti; una cartellina con contratti e iniziative cinematografiche e teatrali; una cartella con articoli sull'opera di Landolfi, divisi per autori. Inoltre la sua Biblioteca di circa 440 libri[20].