Giorgio Valentino[1] Bocca (Cuneo, 28 agosto 1920[2] – Milano, 25 dicembre 2011[3]) è stato uno scrittore, giornalista e partigiano italiano.
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Giorgio Bocca nacque a Cuneo nel 1920 da genitori entrambi insegnanti. Studiò alla facoltà di giurisprudenza dell'Università degli Studi di Torino e si iscrisse ai Gruppi Universitari Fascisti (GUF). Nell'organizzazione fascista ebbe anche un ruolo direttivo e divenne noto a livello provinciale anche per i suoi risultati nelle competizioni sciistiche; ricevette la medaglia d'oro nel 1940 a Roma da Benito Mussolini[4]. Come calciatore, disputò la stagione del campionato 1938-1939 nelle file del Cuneo[5]. Allo scoppio della guerra, ventenne, venne chiamato alle armi come allievo ufficiale nel Regio Esercito nel corpo degli Alpini. Nel giugno del 1940 partecipò alla battaglia delle Alpi Occidentali insieme allo scrittore Mario Rigoni Stern, all'alpinista e maestro di sci Gigi Panei e alla guida alpina Renato Chabod[6]. Il 4 agosto 1942 firmò un articolo sul settimanale La Provincia Grande (foglio di ordini settimanale della Federazione dei Fasci di Combattimento di Cuneo) nel quale imputava il disastro della guerra alla «congiura ebraica» a cui «l'Europa ariana» dovrebbe opporsi»[7]. Nel suo libro Il provinciale, Bocca cita una sua recensione dei "Protocolli dei savi anziani di Sion" contenente una «denuncia dell'imperialismo sionista» apparsa su La sentinella delle Alpi, un «giornaletto cuneese del 1939»[8].
Sotto le armi strinse amicizia con Detto Dalmastro, in contatto con Duccio Galimberti; insieme ai due, dopo l'armistizio fondò le formazioni partigiane di Giustizia e Libertà. Dopo l'8 settembre 1943 Giorgio Bocca aderì alla lotta partigiana, operando nella zona della Val Grana come comandante della Decima Divisione Giustizia e Libertà e, successivamente, in Valle Maira in qualità di Commissario politico della Seconda Divisione Giustizia e Libertà. Si è ipotizzato che fosse proprio il Bocca quel «partigiano Giorgio» che nei primi mesi del 1945, responsabile dei tribunali del popolo (o partigiani), in qualità di giudice nel processo a carico del tenente Adriano Adami (Pavan) della Divisione Alpina Monterosa ne firmò la condanna a morte unitamente a quella di altri quattro prigionieri dell'esercito della Repubblica Sociale Italiana[9].
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Giorgio Bocca incominciò a scrivere fin da adolescente, nella seconda metà degli anni trenta, su periodici a diffusione locale. Successivamente, dal 1938 al 1943, scrisse anche per la testata cuneese La Provincia Granda, Sentinella d'Italia. Alla fine della guerra riprese l'attività giornalistica, scrivendo per il giornale di Giustizia e Libertà finché fu chiamato a lavorare per la Gazzetta del Popolo di Torino, assunto dal liberale Massimo Caputo[10], quindi per L'Europeo. Negli anni sessanta incominciò a lavorare al Giorno di Milano a seguito della nomina a direttore di Italo Pietra[10], qui si affermò definitivamente come inviato speciale, sia all'estero (Guerra dei Sei Giorni), sia con inchieste sulla realtà italiana[10]. Come Dino Buzzati, sostenne con forza la tesi della catastrofe naturale per il disastro del Vajont.[11][12]
Nel 1975 sostenne che l'esistenza delle Brigate Rosse fosse in realtà una favola raccontata agli italiani dagli inquirenti e dai servizi segreti[13] anche se qualche anno più tardi rivide pubblicamente le sue posizioni: «Bisogna ammettere che abbiamo preso una bella cantonata»[14]. Nel 1976 fu, insieme con Eugenio Scalfari, tra i fondatori del quotidiano la Repubblica, con cui da allora collaborò ininterrottamente. Tenne ininterrottamente sul settimanale L'Espresso la rubrica L'antitaliano che sospese solo un mese prima di morire a seguito del peggioramento della malattia che lo affliggeva. Nel 1979 vinse il premio Campione d'Italia per la saggistica per il libro "Il terrorismo italiano 1970 1978". Nel 1983 pubblicò per Garzanti un volume, Mussolini socialfascista, sulla politica economica e sociale del fascismo. Negli anni ottanta ebbe anche un'esperienza nel giornalismo televisivo: a partire dal 1983 ideò e condusse una serie di trasmissioni per le reti Fininvest: Prima pagina, Protagonisti, 2000 e dintorni, Il cittadino e il potere e svolse anche il ruolo di opinionista per i programmi Dovere di cronaca e Dentro la notizia. Nel 1989 condusse per Canale 5 un'inchiesta sul terrorismo italiano e internazionale degli anni settanta e ottanta dal titolo Il mondo del terrore.[15][16]
L'11 aprile 2008 gli fu assegnato il Premio Ilaria Alpi alla carriera, consegnatogli dal presidente della giuria Italo Moretti con una cerimonia privata nella sua casa milanese. I vincitori delle precedenti edizioni erano stati Enzo Biagi (2005), Ryszard Kapuściński (2006) ed Emilio Rossi (2007)[17]. Bocca affiancò alla principale carriera di giornalista l'attività di scrittore: il suo interesse si focalizzò principalmente sulla crisi sociale, che – nella sua interpretazione – generava il terrorismo, di cui raccontò la storia e intervistò i protagonisti. Si interessò anche di aspetti relativi al divario geografico dell'economia e del sociale in Italia, affrontando la questione meridionale e l'avvento del fenomeno leghista all'inizio degli anni novanta. Scrisse anche diverse importanti opere storiche, tra cui alcune incentrate sulla sua esperienza partigiana.
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L'orientamento politico di Bocca nel corso del tempo si è rivelato variegato. Alle elezioni politiche del 1979 fu candidato al Senato con il PSI, non venendo però eletto[18]. Dopo essere stato un elettore socialista e poi repubblicano[19], diede la sua adesione ad alcune mozioni della nascente Lega Nord[10], poi la votò con voto strumentale, perché aveva mandato via Craxi e la DC[20], e infine la contrastò. All'inizio dell'ascesa di Bettino Craxi ai vertici del PSI, si ricordano alcuni articoli elogiativi di Bocca, che poi però fu uno dei nemici acerrimi della politica di Craxi e della cosiddetta "Milano da bere" degli anni ottanta. Profondamente critico nei confronti della globalizzazione, nelle sue ultime opere dà una lettura assai negativa dell'ascesa politica di Silvio Berlusconi e della politica statunitense di stampo conservatore.
Negli ultimi anni Bocca si contrappose ad alcuni tentativi di revisione critica della Resistenza; in particolare entrò in polemica con Giampaolo Pansa, che pure era stato suo collega prima a Il Giorno, poi a la Repubblica e L'Espresso. Per Bocca si rischiava, con «i libri e gli articoli alla Pansa», di aprire a un revisionismo strisciante e cerchiobottista che voleva accomunare la Resistenza italiana e il fascismo, omettendo di ricordare le correità del fascismo con il nazismo, descrivendo mali e beni di entrambi i fronti per arrivare a un'assoluzione generale. Bocca lanciò per questo, dalle pagine del quotidiano la Repubblica, numerosi moniti rivolti alle nuove generazioni perché ricordassero i valori fondanti della Repubblica italiana[21].
Negli ultimi tempi sollevò anche il problema del conformismo culturale, in un botta e risposta su la Repubblica con Beniamino Placido (critico letterario del quotidiano di Scalfari) interrogandosi sul silenzio riservato dagli intellettuali di sinistra ai testi di due scrittori di successo ma non di sinistra: Giovannino Guareschi e Gianna Preda. La sua conclusione: «Qui si tratta di mettersi una buona volta d'accordo su che cosa s'intende per intellettuale: se è uno che deve fare il suo esercizio sul trapezio e basta o se deve pensare con la sua testa e dire la verità»[22].
Intervistato dall'Espresso, nel 2007, dichiarò: «Sono certo che morirò avendo fallito il mio programma di vita: non vedrò l'emancipazione civile dell'Italia. Sono passato per alcuni innamoramenti, la Resistenza, Mattei, il miracolo economico, il centro-sinistra. Non è che allora la politica fosse entusiasmante, però c'erano principi riconosciuti: i giudici fanno giustizia, gli imprenditori impresa. Invece mi trovo un paese in condominio con la mafia. È il successo di chi elogia i vizi, i tipi alla Briatore».
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Giorgio Bocca morì, dopo una breve malattia, nella sua casa di Milano il giorno di Natale del 2011, a 91 anni[23].
I funerali si svolsero due giorni dopo nella chiesa di San Vittore al Corpo, alla presenza di numerosi esponenti del giornalismo italiano. La salma è stata cremata, e le sue ceneri si trovano a La Salle, in Valle d'Aosta, dove lo scrittore possedeva una casa di villeggiatura[24][25][26].
Giorgio Bocca si dichiarava ateo[27]. Tuttavia nel 2020 l'amico e teologo Roberto Vignolo ha descritto su la Repubblica[28] un suo rapporto privato più complesso con la fede, specialmente negli ultimi anni di vita: esso sarebbe maturato nella dialettica con la moglie Silvia Giacomoni (che nel 2004 aveva pubblicato La nuova Bibbia Salani[29]), e nelle frequentazioni con l'ebraista Paolo De Benedetti, con Enzo Bianchi e con Suor Germana (oltre allo stesso Vignolo).
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